I PRESUPPOSTI CONCETTUALI:
(Segue da: Ricerca attiva e ritiro passivo)
7. Chi trova un amico.... trova un tesoro
Anche se il bisogno d'amore e di self-disclosure trova un appagamento d'elezione nel rapporto di coppia, sono comunque possibili altri tipi di rapporto che parzialmente lo soddisfino. Esistono infatti diverse forme di relazione che presentano - per dirla alla Bowlby (1972-83) - una forte componente di "attaccamento affettivo", pur senza dipendere esclusivamente dagli imponderabili decreti di Cupido per il loro costituirsi.
Fratelli e sorelle solidali, parenti affezionati, o solide amicizie di lunga data sono spesso una risorsa cruciale per la persona che affronta la solitudine derivante dalla perdita di un affetto importante (partner, genitori, figlio), e altrettanto per la single che cerca un amore che non trova. Questi rapporti non bastano certo a compensare la perdita/mancanza, ma aiutano comunque a meglio sopportarla e - nei limiti del possibile - a superarla. Per contro, la situazione si fa tragica quando, al venir meno di uno stabile punto di riferimento affettivo, manca anche qualsiasi altra persona con cui potersi relazionare a un livello profondo.
Queste situazioni si presentano meno raramente di quanto si pensi. Le cause possono essere varie: la mobilità geografica, che spesso sradica le persone dal loro ambiente di provenienza; la fagogitazione che lavoro e famiglia possono esercitare sulla coltivazione dei rapporti interpersonali; la possibile tendenza della coppia/famiglia a "chiudersi" rispetto all'ambiente esterno; la difficoltà a conservare le precedenti "amicizie di coppia" dopo una separazione coniugale; il ritiro sociale che spesso affligge chiunque si ritrovi a dover accudire per anni anziani genitori malati. In tutti questi casi (e in altri ancora), quando il coniuge abbandona il tetto coniugale, o quando il genitore malato e accudito viene meno, quello che resta attorno è il deserto. Eppure, almeno una parte di ciò che è andato perduto nella relazione interrotta, può essere ritrovato in altre relazioni possibili.
Nella misura in cui la self-discosure è una componente imprescindibile di ogni amore (quello per il partner, o quello per gli altri membri della propria famiglia), l'obiettivo di ripristinarla in tempi brevi con altre relazioni sostitutive resta perseguibile e traguardabile, quale che sia la situazione di partenza. Questa soluzione non restituisce certo l'interezza della relazione perduta, ma sicuramente attenua il vuoto affettivo che si produce con la sua perdita.
Gli intensi legami che notoriamente si formano tra persone che abbiano condiviso situazioni di pericolo/difficoltà/emergenza sono solo l'esempio più eloquente della possibilità di estrinsecare la parte più genuina di sé entro un rapporto personale esterno al nucleo familiare, e tale da mantenersi affettivamente solido nel corso degli anni, anche quando le rispettive strade si siano biforcate. Si usa dire, infatti: dimenticherai con chi hai riso, ma non dimenticherai mai con chi hai pianto. I casi emblematici sono noti: il collega con cui si fa coppia in professioni ad alto rischio di incolumità personale (poliziotti, carabinieri), i commilitoni in azioni di guerra, il compagno di cella nella prigionia, la compagna di stanza in collegio o in ospedale, la compagna di studio con cui si preparano gli esami all'università, ecc...
L'amicizia - quando rappresenta un rapporto genuino e profondo - è infatti un grande rimedio a ogni forma di solitudine, ed è per di più molto più facile da instaurare rispetto al rapporto di coppia (non richiede apprezzamento estetico e attrazione sessuale; non si pone come "rapporto esclusivo", e quindi elicita meno facilmente gelosie e pretese eccessive, ecc...). Non a caso Young (1982) suggerisce l'esistenza di una scala gerarchica a sei stadi per il superamento della solitudine. In questa, l'effettivo "impegno durevole con un partner" rappresenta soltanto il possibile (e non indispensabile) traguardo finale, e presuppone comunque la capacità di saper gestire con agio gli stadi precedenti (v. paragrafo a lato).
L’amore di coppia chiama infatti in causa sia l'attrazione sessuale sia la volontà/capacità di prendersi cura dell'altro a tutti i livelli. E' estremamente difficile che questa prodigiosa alchimia si produca in automatico solo grazie a una compulsiva ricerca della persona adatta, o sulla base di un'analisi dei profili pubblicati nei vari siti d'incontro, o perfino con l'abbinamento studiato a tavolino dalle varie agenzie matrimoniali. Occorre piuttosto una scintilla che scocchi simultaneamente da ambedue le parti, e - purtroppo - non esiste sensale al mondo che sia in grado di farla scoccare a suo piacimento. Invece l’amicizia profonda, pur offrendo un coinvolgimento e una disponibilità inferiori rispetto al rapporto di coppia, alla diade madre-figlio, o al legame con i consanguinei, riesce spesso a saturare comunque una buona parte dei bisogni affettivi inappagati, almeno nella misura in cui un vero rapporto d’amicizia trasforma in ogni caso l’altro/a in un interlocutore privilegiato.
"Chi trova un amico, trova un tesoro ", sentenziava un vecchio proverbio.
Esistono tuttavia molti pregiudizi sia sulla possibilità di amicizia tra uomo e donna, sia sulle amicizie femminili. Questi pregiudizi sono spesso responsabili di una rinuncia aprioristica a cercare la soluzione (parziale) alla solitudine proprio in questa direzione.
Eppure, ogni volta che sussista una genuina disponibilità alla relazione interpersonale profonda, le possibilità a breve termine di costruire nel proprio ambiente dei rapporti abbastanza importanti da temperare il vissuto di solitudine sono di solito incredibilmente superiori a quelle di incontrare nell'immediato il Principe Azzurro (incontrandolo, cioé, proprio nel momento in cui se ne avrebbe più bisogno), anche per chi si trovi al momento sprovvista di questo tipo di amicizie. Inoltre, nella sfera dell'amicizia, molto di meno è lasciato al fato e molto di più alla volontà e alle capacità della persona interessata. Perfino quando queste capacità difettino, è comunque possibile apprenderle in tempi brevi o recuperarle.
Orientarsi in questa direzione, invece che puntare tutto sulla ricerca del partner o lasciarsi andare all’autocommiserazione, fa obiettivamente la differenza tra la donna che riesce a superare il proprio vuoto affettivo e quella che non vi riesce − pur a fronte di condizioni identiche di mancanza (non voluta) di un partner, figli, genitori.
Proprio questo è il vero punto - d'ordine pratico - della mia divergenza rispetto a Weiss (1973). Presupporre che la solitudine affettiva trovi come unico rimedio il ripristino, o il conseguimento, di quella specifica relazione mancante (es. un altro compagno/coniuge, quando il precedente ci ha lasciate), restringe indebitamente l'orizzonte (e la speranza), colludendo in modo insano col tipico punto di vista soggettivo della donna sola (= "Solo trovando un partner, o un altro partner, potrò stare bene"). Mi conforta tuttavia che Weiss stesso sia arrivato praticamente alle mie stesse conclusioni (a dispetto delle sue premesse), nel capitolo terminale del suo libro (dove tenta di dare consigli pratici).
La capacità di sviluppare nuove relazioni amicali importanti (o di meglio approfondire quelle già esistenti) è in questa prospettiva il vero discrimine tra le donne che si sentono "in divieto d'amore" e quelle che invece, pur dovendo affrontare lo stesso tipo di mancanza o di perdita, riescono ad accettarla, conviverci e a trovare modalità alternative per il proprio benessere soggettivo.
Lungi dal voler sottovalutare il vissuto soggettivo del "divieto d'amore", mi limito a suggerire che questo "divieto" è di solito contrastabile, sia perché sostenuto spesso da "pensieri automatici" e "assunzioni soggiacenti" (Young, 1982; Beck et al.. 1987) che si prestano a trovare riformulazioni meno dannose e paralizzanti per l'interessata, sia perché ogni vuoto può essere trasformato in spazio.
Dove sta la differenza tra i due? Risiede davvero all'esterno, nel dato obiettivo, o non riposa piuttosto negli occhi e nella mente di chi guarda?
Prendiamo come esempio una casa in vendita, non ammobiliata. Pensiamo a come saranno apparse vuote le sue stanze al precedente proprietario in quell'ultimo sguardo che vi avrà lanciato, dopo aver fatto caricare su un camion il proprio mobilio e i propri arredi, per trasferirsi altrove. Viceversa, il potenziale acquirente che visiterà in seguito l'abitazione insieme all'agente immobiliare vedrà probabilmente in quelle stesse stanze solo lo spazio per sistemarci i propri mobili o cimentarsi in un'opera creativa di arredamento e ristrutturazione. Ma l'immobile è lo stesso, in ambedue i casi. Ciò che cambia è soltanto la percezione delle due persone: vuoto è mancanza; spazio è possibilità.
Vale lo stesso nel caso della solitudine: ogni assenza (di affetti o di relazioni sociali) si presta ad essere vissuta come "vuoto" (mancanza, divieto d'amore) o come "spazio" (possibilità di cimentarsi in nuovi compiti relazionali), con conseguenze cruciali a livello di disagio o di benessere personale.
Qualcuno potrà forse obiettare che il paragone con la "casa messa in vendita" è tendenzioso, perché il "vero" vissuto di solitudine affettiva (o "divieto d'amore" che dir si voglia) non è paragonabile a quello di chi lascia la propria abitazione portandosi appresso mobili e cose, o trasloca in una nuova casa avendo la disponibiità economica per arredarla a proprio piacimento. Somiglierebbe invece assai più a quello di chi è costretto a vivere in "stanze vuote", perché il mobilio gli è stato portato via a seguito di qualche pignoramento (solitudine da perdita; v. Le solitudini da perdita: lutto e separazione), o perché non ha i mezzi per acquistarselo (solitudine da mancanza; v. Amor mancato e amor perduto: nubili, separate, vedove)
Ma è proprio così?
Il "tutto e subito" è solo una pretesa alla quale ci ha abituati la nostra società del benessere, facendoci così dimenticare le soddisfazioni che vengono dal sacrificio e dalla conquista. Il "nido d'amore" dei giovani sposi, o l'"appartamentino tutto per sé" di altrettante single, sono ormai sempre più spesso solo il generoso regalo delle famiglie d'origine, arredati fin da subito di tutto punto, compresi elettrodomestici e suppellettili. Ma in tempi più lontani non era affatto inconsueto che un'abitazione venisse ammobiliata piuttosto grazie ad acquisti successivi, in qualche modo pezzo a pezzo. E quelle stanze o quegli angoli momentaneamente vuoti, più che come mancanza e privazione, potevano facilmente essere visti come lo spazio di una progettualità che le avrebbe prima o poi riempite.
D'altro lato, ogni perdita affettiva, per quanto dolorosa possa essere e per quanto sembri lasciare "vuote" le nostre stanze, non ci deruba mai davvero del loro arredo, se lo intendiamo come ciò che resta stivato nel profondo del nostro cuore, e che ci porteremo appresso - nel bene e nel male - dovunque possiamo andare. Almeno ogni volta che vi sia stato amore - vero amore! - la perdita (separazione o morte) ci priva del proseguimento della relazione, della sua persistenza, ma nulla ci toglie di ciò che è stato e che ormai ci apparterrà per sempre. Questo "tesoro" (quando di tesoro si tratta, perché l'amore è stato genuino) è proprio il contenuto che mettiamo sul nostro "camion dei traslochi", per portarcelo appresso lì dove ci servirà. E se invece la nostra casa era arredata soltanto con brutti mobili vecchi e inadeguati, niente più di un trasloco ci fornirà l'occasione per portarli in discarica e sbarazzarcene per sempre. Imparare a fare la cernita di ciò che merita di essere tenuto e di ciò che invece è meglio buttare via resta sempre il modo migliore per affrontare ogni trasloco (trasformazione) che la vita ci richiede.
Risponde a questo, e ad altri intenti, il Il Percorso Guidato che viene qui presentato a parte.
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Continua a leggere: Implicazioni pratiche
Gli stadi gerarchici del superamento della solitudine secondo Jeffrey E. Young (1982):
1. SAPER STARE DA SOLI: superare l’intolleranza verso l’isolamento fisico, la mancanza d’interesse verso qualsiasi attività solitaria, la paura di non saper fronteggiare le difficoltà senza l’aiuto altrui.
2. CONOSCENZE-AMICIZIE SUPERFICIALI: imparare a stabilire con gli altri rapporti occasionali, superando la propria timidezza.
3. AMICIZIE PROFONDE: coltivare dei rapporti stretti, privi di connotazione sessuale, in cui trovino spazio sincere confidenze reciproche.
4. RICERCA DI UN PARTNER SENTIMENTALE: aprirsi al possibile incontro con un partner adeguato, concedendosi una “fase esplorativa” che riveda eventuali standard irrealistici su “come” dovrebbe essere il proprio partner, disattivi la coazione a cercare sempre uno stesso tipo di partner “sbagliato”, e rinunci a “intrappolare” troppo presto l’altro nel rapporto intimo.
5. SVILUPPO DELL’INTIMITA’ con un partner appropriato, di solito mediante la reciproca confidenza e l'intimità sessuale.
6. IMPEGNO AFFETTIVO A LUNGO TERMINE: superare la solitudine riuscendo a mantenere una relazione di coppia intima e soddisfacente nel lungo periodo.