I PRESUPPOSTI CONCETTUALI:

(Segue da: self-disclosure)

5. Il bisogno d'amore

Come la ricerca di intimità evolve fisiologicamente, dall’abbraccio e dalle coccole tanto care al bambino fino alla sessualità che sboccia nell’adolescenza, così la ricerca del “contatto con l’altro” cresce con lo sviluppo della dimensione simbolica, per allargarsi a macchia d’olio dall’esigenza prioritaria di una semplice risposta concreta ai propri bisogni fisiologici fino al bisogno di una comunicazione che accolga la dimensione dell’interiorità, trasformando la segnalazione immediata del proprio agio/malessere mediante il riso e il pianto nel discorso con cui l’adulto si racconta, nella conversazione privata come nell’espressione artistica (gioia e dolore che si sublimano nella pittura, nel romanzo,  nella poesia). È proprio la comunicazione – e di conseguenza la relazione – ad assumere nuove caratteristiche via via che si risale la scala filogenetica (dall’animale all’uomo) e quella ontogenetica (dal neonato all’adulto).

Denominare “bisogno d’attaccamento” anche questa intrinseca esigenza di comunicazione dell’adulto ci appare quindi, se non improprio, almeno riduttivo. Allo stesso modo, prediligere la specifica espressione inglese (self-disclosure) ci sembra quasi un virtuosismo razionale. Chiamarlo più semplicemente ”bisogno di relazione” forse basta e avanza.

Piuttosto, se davvero vogliamo recuperare al concetto di relazione tutto il “calore” di quella dimensione affettiva che tanto bene connota l’attaccamento del bambino (e che permane anche nel bisogno di relazione dell’adulto, non riducibile al mero bisogno d’integrazione sociale), c’è una parola d’uso corrente che ben si presta ad evocare tutto ciò che interessa: amore.

L’amore non è sesso, pur potendosi esprimere anche mediante il sesso. L’amore è disponibilità reciproca: dare e ricevere. L’amore è comunicazione: condivisione dei vissuti e possibilità di sentirsi accettati nella propria interezza. L’amore è sintonia: sboccia con individui specifici, che non sono facilmente fungibili – e non riesce a manifestarsi con tutti.  

L’amore – nella sua accezione più alta, di agape piuttosto che di eros – attraversa l'intero asse dei bisogni d’appartenenza, nella misura in cui può trascendere il rapporto individuale per abbracciare un gruppo più vasto di persone (come nel genuino impegno politico-sociale), o addirittura far pervenire a un senso di fratellanza con l’intero genere umano (come negli afflati più limpidi della dimensione religiosa).   

In questo suo ampio ventaglio di manifestazioni il bisogno d’amore (amore da dare e amore da ricevere) coincide dunque col bisogno di relazione, e la sua frustrazione sta variamente alla base di ogni vissuto di solitudine. Domina la solitudine affettiva ma attraversa anche la solitudine sociale, dal momento che all’individuo soggettivamente privo di un’appartenenza è negata la possibilità di trovare all’esterno quello spazio di condivisione e di sostegno relazionale che può spesso compensare una situazione critica e conflittuale all’interno del nucleo familiare.

Se si tralascia la problematica d'integrazione degli immigrati (che non ricade nel nostro ambito d'intervento: v. Il percorso guidato: a chi si rivolge) non stupisce pertanto che la maggior parte delle donne che soffrono di solitudine lamenti in primo luogo la mancanza di un partner (o di un partner adeguato ai bisogni). Quando non si tratti di questo, sarà il rammarico per il figlio che non si è avuto (maternità frustrata) o lo smarrimento derivante dalla perdita dei genitori. Ma sempre di una privazione nella sfera affettiva (amore!) si tratta. Da qui, appunto, la denominazione di "donne in divieto d'amore".

Laddove la carenza sia grave proprio sul fronte di queste relazioni più strette (partner/figli/genitori, magari assommata all’assenza di fratelli e sorelle), alla donna appare spesso di scarsa rilevanza la possibilità di trovare una qualche compensazione sul versante delle amicizie, degli hobby, del lavoro, o degli impegni socio-culturali.

In questo Weiss (1973) ha ragione: finché il contesto è quello del vuoto affettivo del secondo quadrante (solitudine affettiva , ma non solitudine sociale: v. I bisogni relazionali: fig.1), difficilmente si produrrà un miglior benessere  incrementando il numero delle frequentazioni sociali già esistenti. Eppure, in tutti questi casi, il rischio maggiore è proprio quello di perdere progressivamente anche la propria "risorsa", vale a dire quegli interessi compensatori, o quei rapporti sociali, che sono invece presenti finché la solitudine si manifesta soltanto a livello affettivo.

In altri termini, il diagramma che ho precedentemente abbozzato per argomentare sull'interazione tra vuoto affettivo e isolamento sociale (v. I bisogni relazionali: fig.1) suggerisce soltanto uno schema di collocazione statica dei vari casi di solitudine (una fotografia del qui ed ora), allo scopo di differenziarli, ma in un'ottica dinamica e longitudinale sia il secondo sia il quarto quadrante individuano situazioni altamente "instabili", che tendono naturalmente a evolvere o in direzione del primo quadrante (risoluzione del problema) o, purtroppo, verso il terzo quadrante (aggravamento del problema), dove le due forme primarie di solitudine sono compresenti.

(Prosegui: Ricerca attiva e ritiro passivo)

 

Consigli di lettura

 

 

Eva-Maria Zurhorst (2007), La coppia che  funziona: Ama te stesso e non  importa chi sposerai, Tecniche Nuove, Milano.

Un bel libro sulle problematiche di coppia, scritto da una donna (giornalista, scrittrice e psicoterapeuta) che crede nella possibilità di risanare anche i rapporti d’amore più usurati dal tempo e i matrimoni arrivati al punto di rottura.

Senza pretese saggistiche di spoglio della letteratura scientifica sul tema, il testo si propone come uno spunto per l’Autrice a raccontarsi autobiograficamente in quel cammino che le ha permesso di “salvare” il proprio matrimonio, e come occasione per svolgere una lucida analisi di quelle dinamiche disfunzionali che normalmente s’instaurano nella relazione di coppia, dopo la fase “magica” dell’innamoramento iniziale.  In questo, tuttavia, niente di nuovo sotto il sole.

Intriga, semmai, la provocazione iniziale: ”La maggior parte dei divorzi è inutile”. È infatti proprio questa sfida al dato statistico, che vuole ormai quasi un matrimonio su due destinato a concludersi col divorzio, la chiave di lettura del sottotitolo (“Ama te stesso e non importa chi sposerai”).

Di primo acchito avevo temuto che la Zurhorst  fosse soltanto una cattolica integralista, nemica ad oltranza di ogni divorzio. Ma non è così. Di pagina in pagina s’intende presto che il suo sforzo, come terapeuta di coppia, è  sia quello di recuperare matrimoni in crisi (ove possibile), sia quello di aiutare a separarsi nel modo migliore. Anche in questo secondo caso, non manca però la provocazione: “Amare l’ex-partner per staccarsi da lui!”.

Potrei  forse sintetizzare l’intero libro citando Seneca: “Animum debes mutare non caelum” (“Devi cambiare l’animo, non il cielo”). Il dissenso dell’Autrice al divorzio sta solo in questo: non basta cambiare partner per sottrarsi ai problemi di coppia, bisogna invece cambiare se stessi (per evitare di ritrovarsi analoghi problemi con il prossimo partner).

Ma c’è di più (e bisogna arrivare alla seconda parte del libro per scoprirlo). La Zurhorst ha avuto il coraggio di proporre un argomento scomodo, e proprio in relazione ai problemi di coppia: quello della fede e della spiritualità.

Non si tratta dell’adesione più o meno condiscendente  a questa o quella religione. Si tratta piuttosto di una presa di coscienza profonda del nostro essere parte di un Tutto -  contraddistinto da immenso amore - che trascende le nostre vite individuali. Proprio questo Amore con la “A” maiuscola (la cui scintilla è accesa in ciascuno di noi) viene proposto come la nostra più grande risorsa per fronteggiare ogni avversità della vita o della relazione, nella misura in cui riusciamo ad aprirgli davvero il nostro cuore.

Perdono, compassione, coraggio, onestà, verità: sono questi i suoi predicati.

Il messaggio che riceviamo è edificante, e ci fa riflettere. Non si tratta del “solito libro” sulle problematiche di coppia, scritto in psicologhese. È piuttosto una sfida, un’esortazione, e un grido di speranza.

Poiché ha saputo stupirmi, mi è piaciuto.

 

Contatti

www.donneindivietodamore.it

346 8433864

© 2014 Tutti i diritti riservati.

Crea un sito internet gratisWebnode