I CRITERI OPERATIVI

3. Sapere e sentire

Se facilmente può ingenerarsi un circolo vizioso tra vissuto di solitudine-depressione-isolamento (v. Solitudine, lutto e depressione), un percorso che guidi l’interessata fuori da questa palude non può ridursi a un manuale d’istruzioni o a corsi  di comunicazione strategica, intesi a correggere una presunta “incompetenza sociale” o a migliorare le strategie seduttive.  Anche le opportunità di socializzazione offerte dalla rete grazie ai molti siti di organizzazione eventi per single, se da un lato possono offrire una preziosa alternativa al rimanere a casa ad autocommiserarsi, consentendo di partecipare ad aperitivi o serate in pizzeria insieme ad altri single di ambedue i sessi, ai weekend e alle vacanze organizzate proprio per chi viaggia da solo, ai pranzi di Natale e Pasqua, o ai cenoni di Capodanno pensati per riunire insieme (spesso anche per fascia di età) persone che non hanno familiari con cui trascorrere le ricorrenze, resta il  fatto che presuppongono tutte – oltre a una disponibilità economica che permetta di concedersi il costo di questi svaghi con una certa assiduità – perlomeno una disponibilità interiore a mettersi relazionalmente in gioco in mezzo a tanti sconosciuti.  Ma è proprio questa che, una volta innescatasi la spirale del ritiro depressivo, viene tanto spesso a mancare.

Non basta “sapere” che sarebbe forse opportuno sfruttare le occasioni, cercare di uscire di casa, conoscere nuove persone, organizzarsi una fitta agenda di impegni personali, ecc… Occorre anche “sentire” la convinzione che ne valga la pena. Finché le migliori strategie cognitivo-comportamentali vengono suggerite in un contesto impersonale (libro, conferenza), o in un contesto personale inefficace (es. la vecchia zia rompiscatole, che si mette a dispensare consigli non richiesti), hanno difficilmente la capacità di motivare la persona a metterle in atto.

Quando è nella sfera dei bisogni affettivi che si fa sentire crudamente la frustrazione  è solo a partire dall’instaurarsi di una relazione personale positiva che si può pensare di disinnescare il circolo vizioso, o – in via preventiva – di sventarne l’innesco. Non basta cioè mostrare all’interessata quali possibilità ha a disposizione per migliorare la propria situazione, ma occorre cominciare ad attenuare il suo senso di solitudine offrendo al disagio e alla sofferenza inespressi un apposito spazio d’ascolto e di comunicazione, accogliente e non giudicante, che consenta alla persona almeno quella  self-disclosure  (apertura, rivelazione di sé mediante la comunicazione)  di cui abbiamo già parlato.

È ciò che fa da sempre Telefono Amico. Ma nell’anonimato del suo ascolto telefonico, privo di una continuità relazionale, un servizio di questo tipo appare spesso all'interessata come una sorta “di ultima spiaggia” per il momento in cui la crisi si fa più acuta, piuttosto che una risorsa utilizzabile ad ampio raggio. Viceversa, quando la depressione, che tanto spesso colora a tinte cupe il vissuto di solitudine, si presenta come patologia vera e propria, questa relazione non può essere altro che quella psicoterapeutica.

Ma l’aspetto depressivo (di scoraggiamento, ritiro, bassa autostima, negatività) che frequentemente accompagna il senso di solitudine non costituisce sempre e necessariamente un disturbo psichiatrico, tale da richiedere interventi psicoterapeutici e farmacologici.  Può certamente evolvere in questa direzione, soprattutto a fronte di una solitudine protratta, ma può anche mantenersi entro un ambito di normali difficoltà esistenziali.

Un intervento psicologico di sostegno, focalizzato sulla persona, sulle circostanze del presente e sulla riattivazione delle risorse inutilizzate, sembra in questi casi sufficiente sia a fornire un interlocutore privilegiato, che permetta di esprimere tutti i propri vissuti di sconforto, di ansia o di rabbia, sia a indirizzare l’interessata verso traguardi progressivi di miglior relazione con gli altri e di maggior benessere individuale.

Continua a leggere: Approccio di gruppo e individuale

 

 

La depressione

La solitudine si coniuga spesso a stati depressivi, ma la depressione vera e propria è una malattia i cui effetti devastanti  investono non solo le relazioni, ma anche le prestazioni lavorative, la capacità di sovrintendere alle incombenze del quotidiano, la salute fisica, rischiando spesso di portare alla soluzione estrema del suicidio.

Nella depressione patologica la negatività del tono dell’umore si allarga a macchia d’olio, retrospettivamente e proattivamente, su tutti gli spazi di vita e di progettualità della persona. La malinconia (che è sovente disperazione) pervade la giornata da mattina a sera, inibendo la concentrazione e la possibilità di impegnarsi in qualsiasi attività, visto che ne risulta una globale perdita d’interesse sia per se stessi (trascuratezza, inappetenza o, al contrario, alimentazione sregolata, comportamenti autolesivi, ecc…), sia per gli altri (apatia, indifferenza, o – all’opposto – ostilità), nonché per tutte le cose e le attività che prima procuravano piacere.

Ove manchino cause esterne che la giustifichino, la diagnosi e la prognosi di depressione tendono ad essere più allarmanti, e sono normalmente  indicati appositi interventi di tipo psicoterapeutico e farmacologico. Invece, come reazione contingente a fattori scatenanti di tipo esterno (lutto, perdite affettive, fallimenti o mancati traguardi di vario genere, ecc…), la depressione non si configura sempre in senso patologico, salvo che la sintomatologia si protragga in modo esteso e continuativo per più di 2 settimane dall'insorgenza dell'episodio scatenante (periodo di tempo che il DSM IV – Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – estendeva a 2 mesi nel caso del lutto, come invece invece rinuncia a fare la nuova edizione del manuale: il DSM-5).

Lo stato transitorio di umore depresso della “donna in divieto d’amore”, spesso con andamento ciclotimico (i.e., altalenante), non autorizza quindi di per sé una diagnosi di depressione in senso psichiatrico ("episodio depressivo maggiore", o "distimia"). Possono anche insorgere congiuntamente varie sintomatologie psicofisiche (ansia, astenia, insonnia, ecc…), ma finché  il problema resta circoscritto all’area affettivo-relazionale, senza compromettere significativamente le capacità lavorative e  quelle di gestione del quotidiano e della propria persona,  si tratta più probabilmente di solitudine che non di depressione vera e propria, a meno di voler per forza patologizzare ogni ripercussione psicofisica delle difficoltà che la vita naturalmente ci presenta.

V. anche articolo: "Solitudine, lutto e depressione"

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